sabato 18 maggio 2013

"Io non farò rumore" il libro perfetto di Lara Cardella


Lara Cardella racconta una storia -“Io non farò rumore” ed. Barbera - che ricama la maglia dei sentimenti con un ago che si uncina alla pelle, precipitando il lettore in un baratro in cui riconoscere da subito tutte le trappole di un familismo culturale imperante e degli stereotipi forzati delle dinamiche di coppia: dal fidanzamento, al matrimonio, alla genitorialità e al divorzio. Fino all'esplosione rabbiosa e isterica in cui il vero nodo da dipanare è il concetto del possesso e del controllo, in una relazione in cui crudeltà e senso di rivalsa sull'"oggetto donna" perduto prendono il sopravvento.
In mezzo, un bambino conteso e la forza di una madre, Mariella, che non perde mai lucidità e fermezza, pagando poi con la perdita di sé il proprio atroce dolore. Mariella, che non ricorda, dimentica se stessa, la sua famiglia, ovattata dalle soffocanti attenzioni di parenti che vogliono proteggerla (o forse proteggere se stessi dalla colpa di avere sottovalutato situazione e segnali), Mariella che recupererà se stessa nel silenzio ma parlando e ascoltando la sua voce tramite un registratore,  alla ricerca della verità, incapace di accontentarsi dei morsi di passato che tutti stanno attenti a porgerle senza mai dire nulla per davvero.
Mariella che si svela e rivela in una forza che si trasformerà in denuncia.
Perchè "Io non farò rumore" è anche una presa di coscienza, una forte accusa sociale: di stalking, di molestie, di indifferenza, dell’offesa che non potrà mai essere recuperata o addolcita, per quanto il racconto rimanga sempre sospeso sul dubbio che Mariella nemmeno si accorga di essere vittima di un abuso, ma anzi che in certi tratti ne sia stata addirittura complice in alcuni momenti di devozione ipertrofica al marito.  Il tutto senza scivolare mai nella presa di posizione netta di una parte piuttosto che di un’altra: anche la figura del coprotagonista Angelo, viene seguita con accoglienza possibilista, senza vomitare torti e ragioni, senza usare toni di pancia retorici e assolutamente inutili per spiegare il percorso psicoemotivo (e educativo) che porta a gesti di violenza, spesso assolutamente prevedibili se solo ci fosse maggior attenzione.
E’ una bella storia, questa,  che parla a tutti di dignità e coraggio: dalla parte delle donne certo, ma anche spunto di riflessione per tutti, donne comprese, su quanto siano importanti l’attenzione e la condivisione.
Il testo poi si arricchisce anche di importanti cameo di Francesco Aprile a cui va l’onore di introdurre ogni capitolo con alcuni suoi versi  che vanno ad intrecciarsi nella narrazione rendedola ancora più intensa  di significati.  A me è piaciuto moltissimo.

 cit. "Ma non si può accendere un fuoco e non badare, poi, che non diventi un incendio: brucia tutto e la colpa non è dell'erba che si trovava attorno" (Lara Cardella)
"Ma dare amore alla pietra
lo sai, non basta a darle vita." (Francesco Aprile)

venerdì 3 maggio 2013

Quelli che mi danno sui nervi.

I/LE DIECI TIPI/E CHE MI DANNO AI NERVI.

1 - Quelli che, appena conosciuti e dopo avere trascorso una piacevole serata insieme, si sperticano in lodi, "dobbiamo assolutamente rifarlo, siamo stati benissimo, ci risentiamo presto", e poi, naturalmente non li vedi ne senti più nè tantomeno ricevi risposta ad un sms. Inutile dire che la cena l'hai offerta tu.
2 - Quelli che bucano un appuntamento o fanno ritardo e dicono "ma non hai letto la mail?". No, non l'ho letta, non potevi chiamare?
3 - (Per soli uomini) Quelli che fanno gli splendidi, ti assecondano, sottolineano l'aura e la magnificenza del tuo intelletto, per poi sentenziare tramite sms "sei troppo complicata".
4 - (per sole donne) Quelle che fanno le splendide con qualcuno, che gliela sventolano sotto il naso come la bandiera ai mondiali, e raccontano tutto il tempo di quanto si sentano infelici senza quello stronzo là che se le trombava così bene.
5 - Quelli che non leggono, o che ti pigliano per il culo se lo fai e ne parli, e se usi un italiano variegato, bollandoti subito come radical chic.
6 - Quelli che devono mentire per forza, per darsi un tono, per accattivare l'interlocutore, che inventano saghe familiari, che ti raccontano che a loro va sempre tutto benissimo, e che ti guardano con compassione anche se gli racconti di un male incurabile.
7 - Quelli che aspettano di vedere le tue debolezze per attaccarti con l'artiglieria pesante.
8 - Quelli che "Ma davvero non guardi la televisione?"
9 - Quelli che "Ma davvero vai al cinema da sola?"
10 - Quelli che ignorano per grettezza, snobismo, faciloneria ogni cosa dell'universo mondo e si mettono a polemizzare biascicando (in un pessimo italiano) teorie sull'inutilità del tutto: con essi mi trasformo, investita da una luciferina presunzione tirando fuori la carogna solitamente assopita.

lunedì 11 marzo 2013

Se non ora quando. Ma perchè?

Leggo di un ennesimo personaggio tv, molto radical chic, che pubblica un libro. Di ricette? No. Donne morte. Che è diventato comunque il pane attraverso cui media e tv hanno imparato a nutrirsi. Panem et circenses, quindi, meglio se irrorato di sangue scarlatto in piena reminescenza latina.
Ora, io non ho niente contro questa meta fenomenologia che si ricollega ad un'altra fenomenologia: cioè quella della violenza. Figuriamoci ne parlo da tempo. Ma vorrei spiegare perchè guardo con diffidenza a queste voci che dalla nascita del movimento "Se non ora quando?" sono spuntate come funghi e dalle quali non mi sento rappresentata. Tutte grandi donne, per carità passando per le Dandini, Comencini, Caputo, e tutte le attrici, scrittrici, sceneggiatrici che conosciamo come autrici a sostegno di questo movimento.
Innanzitutto non mi rappresentano, perchè costituiscono un enorme fallimento culturale e sociale. A sessant'anni suonati, dopo avere sdoganato senza mai fiatare un pessimo cinema, una pessima immagine femminile culturale, anche pessima letteratura, e per pessima intendo mai di denuncia, per strane coincidenze aspettano il declino totale della moralità, (subito dopo i fatti del bunga bunga), per rilanciarne un'altra. E se c'è una cosa che non può andare a braccetto con le istanze femministe, sicuramente è quel tipo di moralità. (e cioè l'essere donne perbene per non intaccare l'onorabilità dei maschi di casa).
Insomma a sessant'anni, dopo avere assistito impassibili ad una politica, all'industria dello showbusiness e ad un'economia pericolosissime per il solo fatto di avere ricondotto il femmineo in spazi ancora più pretenziosi (l'essere bellissime, giovanissime, professioniste di successo, ottime a fare i soufflè, e madri e mogli impeccabili), in una sorta di ideologia multitasking fallimentare, si riuniscono in un movimento senza riuscire ad attecchire davvero nelle più giovani. Perchè? Perchè non sento abbiano credibilità, perchè ci si chiede dove fossero sino ad adesso, e perchè non vadano a denunciare quegli aspetti macroscopici piccolo borghesi che ancora ammorbano l'anima di molti vissuti.
Il fatto è che forse, pur avendo risolto parecchi conflitti materni, non ci fidiamo delle nostre mamme, perchè sappiamo come ci hanno educate e come hanno educato i nostri fratelli, e non ci fidiamo di improvvise e nuove prese di posizione. Non sono credibili. Ed ecco la disaffezione delle più giovani.
Dall’altro lato non è possibile procedere senza una disanima critica e lucidissima sui nostri privati. Partendo per esempio dal lavoro domestico, che in Italia è un problema perchè non è condiviso all'interno di un nucleo familiare (le famose "cure parentali") e perchè ce n'è troppo da fare. E qui passo la parola ad una bravissima autrice:"Le norme borghesi che altrove appartengono solo a determinate classi sociali (che si possono permettere aiuti domestici di vario tipo), per cui la casa deve essere sempre lustra, la cera passata, l’argenteria lucidata, e due pasti caldi al giorno (magari con più di una portata) sono d’obbligo, sono da noi una pratica interclassista, ed è proprio questa la nostra maledizione.

Non possiamo pensare ad una vita più libera ed emancipata se continuiamo a pensare che tanti lavori domestici in realtà superflui ed accessori siano assolutamente necessari. E che cos’è questa, se non la critica di una norma sociale che crea forme di pressione informale oppressive – soprattutto, cosa ancor più problematica, esercitate spesso dalle donne sulle donne? Il problema, vale a dire, è che sono troppi gli ambienti sociali in cui avere una casa con un po’ di polvere, o dare una pizza surgelata per cena ai propri figli, non è socialmente accettabile. Ma forse questo dovrebbe indurre ad un po’ più di cautela anche in altri ambiti: forse esistono anche troppi ambienti in cui non avere sempre un aspetto giovanile ed impeccabile, o non mostrarsi sempre disponibile (anche sessualmente), escludono le donne dal gioco. Nel primo come nel secondo caso, questo non deve tradursi in un giudizio delle donne emancipate nei confronti delle schiave del pavimento che brilla piuttosto che del botox, bensì nel riconoscimento che creare atmosfere sociali in cui stili di vita diversi sono accettati non può non essere parte integrante del femminismo – e che questo non può avvenire solo tramite leggi ed istituzioni, ma ha bisogno di una pratica educativa e di trasformazione sociale anche più informale." (Cit. Valeria Ottonelli)
E se il problema della libertà di una donna, è ancora oggetto di discussione fra le pareti dell'autostima della donna stessa, se non ne siamo certe noi che deteniamo ancora nelle famiglie e nelle scuole autorevolezza educativa importante, se l'obiettivo da raggiungere è ancora quello della nostra convinzione, continueremo a contare il numero di donne ammazzate, picchiate, osteggiate, molestate, date per scontate. Non si scappa
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